1907
Antonio Di Prata, secondogenito di quattro figli, nasce a Brescia il 15 settembre. Il padre, Egidio, è caposquadra nello stabilimento A.T.B. ed emigrerà in America dopo gli anni Quaranta, non dando più notizie di sé per cause ignote. La madre, Emilia Spironello, conduce un negozio di frutta nell’hinterland, a Caionvico. I Di Prata vantano ascendenze di buon sangue in quel di Pordenone e sono qui giunti nel flusso delle genti venete in Terraferma sotto il governo dei Dogi.
1927
Compie il servizio di leva nel IV Reggimento Genio, ma nel contempo col “Ritratto di fanciulla” vince il premio istituito dal Municipio di Brescia, sul legato del nobile Camillo Brozzoni per la pensione triennale che consente ad artisti esordienti di frequentare scuole o accademie. Da siffatto riconoscimento si intuisce che, dopo le elementari, per estro e per vocazione il ragazzo ha frequentato quell’istituto intitolato al grande pittore cinquecentesco Moretto che è stato per anni, anche grazie ai corsi serali, il centro concretamente più formativo in senso popolare – una vera e propria scuola di arti e mestieri – da cui sono uscite più generazioni e a cui hanno attinto nomi di rilievo nella storia della pittura e scultura bresciane. È, per l’appunto, nell’ambito della “Moretto” e in questo periodo che avviene l’incontro di conoscenza e di stima col poco più che trentenne Adolfo Mutti (diplomatosi all’accademia Carrara di Bergamo grazie al legato Brozzoni) pittore di cui già si parla per le doti e gli interessi che esplica. L’anno successivo esordisce come assistente ai corsi artistici, sezione decorazione, della “Moretto”.
1929 – 1932
Non ancora venticinquenne, il giorno dell’Epifania, si presenta con la sua prima mostra alla Bottega d’Arte Campana, in corso Palestro, a Brescia. Celebra le nozze con Giuseppina La Rosa, oriunda delle Cinqueterre da una famiglia di ferrovieri. L’anno successivo, con l’olio su tela “Giovane donna con bacile di rame” si aggiudica il premio Brozzoni della pensione biennale per professionisti che intendono specializzarsi e condurre studi di approfondimento in musei, istituzioni artistiche, atelier, biblioteche. Nel 1931 gli nasce il primo figlio, Giordano. Nel 1932 è premiato per l’olio su tela “Inserviente” (modello il giovane cognato Nino La Rosa) esposto a Milano alla rassegna della Famiglia Bresciana.
1934 – 1936
Alla quinta Mostra Sindacale Lombarda, ospitata nei locali della Permanente ambrosiana, viene segnalato per due opere: “In famiglia” e “Maternità“, cui va il premio del Comune di Milano. Nel 1935, nella solenne adunanza dell’Ateneo (presidente il conte Fausto Lechi, segretario il prof. Vincenzo Lonati) gli viene consegnato il Bettoni Cazzago – abbinato ai premi promossi dall’esimio collezionista Alberto Magnocavallo – per la tela “In famiglia” prescelta stavolta dalla commissione giudicatrice composta dal Direttore dell’Accademia di Brera pittore Aldo Carpi, dal critico d’arte Enrico Somaré e dal pittore Adolfo Mutti. Nel 1936, è coi colleghi Gian Battista Bosio, Battista Trainini e Virgilio Vecchia di cui il podestà Lechi acquista opere – alla terza Mostra sindacale lombarda aperta al Vanvitelliano – per le gallerie cittadine. L’opera “Mia sorella Rita” è ai Civici Musei di Brescia.
1938
Consegue a Milano il diploma dell’Accademia di Belle Arti di Brera (dove dal 1930 insegna Aldo Carpi) e gli si aprono così le porte dell’insegnamento che – di là dagli obblighi militari e dalle peripezie del periodo bellico – svolgerà come professore di disegno in istituti per geometri, magistrali e licei scientifici: al “Minerva” dal 1938 al ’40, alla “Moretto” serale nel ’39/’40 e dal ’45 al ’47, alla “Francesco Lana” nel ’40/41, alla “Casa degli Studi” dal ’45 al ’50, all’Associazione Artistica Bresciana dal ’46 al ’49, alla media “Ugo Foscolo” di Verolanuova nel ’50/’51, all’Avviamento professionale industriale di Gavardo dal ’49 al ’51 e nel contempo a un gruppo di operai della Falck di Vobarno che, per hobby della pittura e avere lezioni da lui, si sono autotassati. Sempre nel 1938 torna alla Galleria Campana, con le ventisei opere della sua seconda mostra personale, e partecipa alla Sindacale bresciana.
1939 – 1945
Nel 1939, festa in casa per la nascita della figlia Mariuccia.
Richiamato alle armi, è destinato nel ’42 alla difesa metropolitana dell’aeroporto di Ragusa e poi nel ’43 trasferito all’avvistamento e servizio contraerei nel castello di Brescia. Avendo contratto la malaria in Sicilia, viene ricoverato all’ospedale militare di Brescia, da cui è dimesso – in seguito all’armistizio e agli sbandamenti dell’Esercito dell’8 settembre – con foglio di licenza illimitata provvisorio. Non risponderà ai bandi di arruolamento della repubblica di Salò.
Nel 1942 è chiamato dal prof. Luigi Pietrantoni, primario di otorinolaringoiatria all’Ospedale civile, a illustrare le relazioni che va presentando all’Università di Parma e nei congressi: incarico che il pittore assolve assistendo direttamente agli interventi chirurgici.
Nel 1943 con una mostra alacremente allestita alla Galleria Bravo raggranella 164 mila lire. Quei soldi gli consentono di sfollare con la famiglia, a causa dei bombardamenti sulla città, al Cantiere di San Felice del Benaco, contiguo all’orfanatrofio di Cisano, dove lavora con profitto – ispirandosi per lo più al paesaggio gardesano – tanto da approntare una mostra che si apre ai primi di ottobre nella sala consiliare del municipio di Salò. Delle trentasei opere esposte, la maggior parte viene acquistata dal sedicente Ministero della Cultura Popolare insediatosi sul lago nella scia di Mussolini: finiranno per essere accaparrate dallo sfrontato Pavolini e dal branco dei suoi camerati.
Nel 1945 espone nella Prima mostra d’arte dell’Associazione artistica bresciana “Arte e Cultura” che si inaugura il 14 ottobre a Brescia nei locali della vecchia Posta, ex via Umberto I.
1949 – 1953
Fa parte dei cinquanta (su 74) artisti prescelti dalla giuria per l’esposizione dedicata al Natale nel salone dell’Episcopio. Insieme al cugino Oscar sta eseguendo gli affreschi nel presbiterio della restaurata parrocchiale di Mariana Mantovana e firma la lunetta della Pietà, “in cornu Epistulae”, nella vicina pieve di Campi Bonelli.
La notte del 26 luglio 1952 è colpito da un’angina pectoris fulminante e all’alba, a quarantaquattro anni, si spegne. Nell’epitaffio per la sua scomparsa, dettato dalla prof. Lidia Di San Lazzaro, è detto: «Ti splenda nell’eterna pace il divino sorriso della bellezza».
Nel 1953, Gavardo (dove, durante la guerra, si è incontrato col collega Felice Antonio Filippini, già allievo di Carpi, morto ancor giovane e rimpianto per le manifeste doti espressive) nella sua fiera settembrina rende omaggio ad Antonio Di Prata con una rassegna.